SENTIERI
CULTURALI DELLE M
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ALALEONA, "TALENTO AUSTERO" Una
memoria di
Radiciotti del
Con
la scomparsa di Domenico Alaleona l’Italia ha perduto uno dei più
geniali e forti compositori di quella che fu chiamata “giovane scuola
d’avanguardia”; perdita tanto più grave e dolorosa nell’attuale
periodo di crisi che attraversa la nostra arte musicale, vale a dire in un
momento in cui questa sente, più che mai, il bisogno di uomini operanti
con salda fede in un’alta idealità e con tendenze ed aspirazioni
prettamente italiane. L’ideale di Domenico Alaleona era il rinnovamento
e la purificazione dell’arte nostra. Per lui la presente sua decadenza
deriva dall’essersi troncati i legami fra la nostra anima musicale
moderna e l’anima musicale italiana originaria, operante in una mirabile
fioritura attraverso i secoli, e dall’essersi perduta quell’intima
comunione fra l’anima musicale degli artisti e l’anima musicale del
popolo, che è stata propria del secolo d’oro della nostra musica.
“Credo fermamente -scriveva ad un altro insigne musicista italiano della
‘giovane scuola’, il M° Vittorio Gui- che la nostra musica non
risorgerà se non quando ridiventerà italiana ed umana, tanto nel
sentimento e nella visione (abbandonando i gretti individualismi) come nel
linguaggio (facendola finita con la sterile e distruttrice ricerca di
gerghi e cifrari personali). Questa è la mia fede”. Così egli ammoniva
i giovani compositori italiani nel 1914, quando cioè molti di loro, in
cerca del nuovo a qualunque costo ed infatuati di xenolatria, piuttosto
che attenersi alle tradizioni dell’arte nazionale preferivano seguire le
orme del Wagner, del Debussy, dello Strauss, di tutti insomma, fuorché
dei nostri. E l’ammonimento, avvalorato dall’esempio dello stesso
autore, fu salutare. Mente di alta cultura, ingegno dei più versatili,
Domenico Alaleona esplicò la sua meravigliosa attività in più campi:
come compositore, come direttore e concertatore, come storico e critico,
come insegnante, come conferenziere propagandista dei suoi ideali d'arte;
ed in ciascuno di questi campi si manifestò l’originalità e
l’importanza dell’opera sua. Nacque l’Alaleona a Montegiorgio
(provincia di Ascoli Piceno) il 16 novembre del 1881 da antica e nobile
famiglia, in cui tradizionale è il culto dell’arte dei suoni. Ricevette
i primi insegnamenti musicali da Antonio Bernabei e da altri oscuri
maestri nel proprio paese nativo, dove, sin dall’età di circa dieci
anni, si segnalava nel suono dell’organo e del clarinetto, e, poco
appresso, anche nella direzione della banda locale. Recatosi a Roma,
s’inscrisse alla facoltà di lettere in quella università e
contemporaneamente compì i suoi studi musicali nel liceo di S. Cecilia,
dov’ebbe a maestri di piano il Bustini e lo Sgambati, di organo il Renzi,
di composizione il De Sanctis, e donde uscì diplomato nel 1906. L’anno
seguente conseguì la laurea in lettere, presentando per tesi uno studio
su L'Oratorio in Italia, poderoso lavoro (pubblicato poi dalla Casa
Bocca), in cui la estesa erudizione si accoppia alla genialità delle
vedute, all’acume della critica, alla elegante scioltezza
dell’esposizione, e che procurò subito all’autore grande rinomanza in
Italia e fuori. Uscito dal liceo di S. Cecilia, iniziò la sua carriera
artistica come direttore d’orchestra e di masse corali, e come
insegnante, prima (dal 1911 al 1917) di canto corale nella scuola diretta
da Pietro Mascagni, poi di estetica e storia musicale nel liceo che
l’aveva diplomato; posto che tenne sino alla sua morte.
Contemporaneamente dava alla luce importantissimi ed originali studi di
teoria musicale, preziosi contributi al progresso dell’armonia moderna.
Le sue pubblicazioni su “I nuovi orizzonti della tecnica musicale” e
su “L'armonia modernissima” attrassero l'attenzione dei competenti (più
all'estero, secondo il solito, che in Italia) per la genialità e
l’arditezza degl’intendimenti. L’Alaleona fu il primo tra noi ad
intuire, parallelamente al Debussy e allo Schoenberg, certi aspetti della
tecnica musicale. Senonché, appunto per questa arditezza, le sue
composizioni (che non sono altro che dimostrazione pratica di quanto egli
aveva scritto nei suoi studi teorici) non furono subito comprese dalla
grande maggioranza del pubblico. L’intermezzo sinfonico della sua opera
“Mirra”, eseguito per la prima volta nel marzo del 1912 all’Augusteo
di Roma, sollevò vive discussioni nel pubblico e nella stampa, ma non
provocò alcun incidente. Peggior sorte gli toccò a Milano, quando
Vittorio Gui, antico compagno di studi dell’Alaleona e suo ammiratore,
chiamato nella primavera dello stesso anno a dirigere alla Scala un
concerto di musica tutta italiana, incluse nel programma l’Intermezzo
del suo amico. “Il pezzo -mi scrive il Gui- che io ho poi parecchie
volte eseguito nei concerti a Roma, a Firenze, a Venezia ecc., fu accolto
con ostilità dal buon pubblico meneghino, rimasto ancora ai gusti di
Ponchielli... Le interesserà sapere che tra gli uomini che si accorsero
allora del valore di questa composizione vi erano Antonio Smareglia (già
mio amico e anch’egli soggiaciuto a un destino terribile di vita) e
Arrigo Boito, col quale facemmo la conoscenza, tanto io che l’Alaleona,
proprio in quei giorni. Il Boito rimase in teatro sino all’ultimo (era
stato uno dei primi ad entrare), e, dopo il pezzo di Alaleona, in mezzo
alla gazzarra del pubblico protestante, applaudiva con esibizione
coraggiosa! Il giorno dopo, la stampa quotidiana si divise in due campi;
ma i giornali più letti, e quindi più importanti, caricarono
d’insolenze, tanto l’autore, quanto il giovane direttore per la scelta
del programma!... E il programma conteneva, oltre che la “Mirra”,
brani di Giuseppe Martucci, di Sammartini, di Porpora, di Rossini e di
Smareglia!!! Alaleona, che era molto sensibile alle critiche, ebbe un gran
dispiacere; ma io ebbi la gioia di rivederlo, prima della sua morte due
anni, all’Augusteo ricoperto di applausi affettuosi e caldissimi,
proprio dopo l’esecuzione dello stesso Intermezzo sotto la mia
direzione”. Neppure l’opera intera -già premiata nel concorso,
indetto nel 1913 dal Comune di Roma- quando comparve per la prima volta il
31 marzo del 1920, ottenne un vero successo popolare (e così doveva
essere, perché questa musica è troppo originale, troppo fine, troppo
schiva dalla ricerca dell'effetto plateale e del facile applauso, per
poter esser subito compresa e giustamente apprezzata dalla gran massa del
pubblico), ma tutti gl’intenditori, tutti i veri competenti accolsero la
“Mirra” con viva simpatia ed ammirazione. “Dall’insieme
dell’opera -son parole di uno dei più autorevoli e competenti critici
italiani, il M° Alberto Gasco- emerge una simpatica personalità di
musicista. Nessuno potrebbe negare a Domenico Alaleona un talento austero
di drammaturgo. I personaggi di Mirra parlano un linguaggio incisivo,
hanno una particolare fierezza ed una tal quale violenza tragica. Il
maestro non vuole adescare il pubblico con le moine, non tenta far
commercio di futili melodie, non intende assumere il dominio policromo
dell’istrione futurista. Egli scrive come il cuore gli detta”.
Non
meno austera, aristocratica, sprezzante del facile applauso del volgo è
la sua musica da camera. Ricordo, fra la musica vocale, il ciclo delle
“Melodie Pascoliane”, divise in vari gruppi. Molte le raccolte di
melodie (“Albe”; “Canti di maggio”; “Canti italiani”; “Canti
spirituali”) e molte le composizioni corali. Fra la musica strumentale
sono in particolar modo notevoli le “Canzoni e Laudi spirituali
italiane” per orchestra e la raccolta di "Impronte" per
pianoforte, intitolata “Le città fiorite”. Nessuno più fedelmente di
lui ha saputo tradurre in note ispirate la soave mestizia, la grazia
pensosa, la delicatezza della poesia pascoliana, con la quale la musica
lirica dell’Alaleona ha tanta affinità di carattere. Un altro dei suoi
ideali più cari, ideale da lui vagheggiato per tutto il corso della sua
vita, fu la formazione di società corali, coll’intento di far rivivere
tra noi il culto della polifonia vocale e di ripresentare
all’ammirazione degl’Italiani immemori i tesori della nostra musica
sacra e madrigalesca del secolo XVI. “Tutto il nostro patrimonio
musicale veramente aureo -giustamente osservava- quello cinquecentesco, di
una rigogliosità e vivacità quale nessun altro periodo della nostra
storia ha posseduto, il patrimonio dei concerti vocali, dei madrigali,
delle villanelle e canzonette, della polifonia vocale religiosa, è morto,
non perché fosse venuta meno la sua rigogliosissima vitalità, ma perché
venne a mancare dei suoi propri, necessari mezzi di esecuzione. La musica
muore, se non si eseguisce”. E lamentava che in Italia troppo si
trascurasse la voce, questa materia prima di cui tanto abbondano le nostre
contrade, mentre in Francia ed in Germania, dove questo “carbone
bianco” (com’egli chiama la voce) è tanto inferiore, per quantità e
qualità, le società corali sono infinitamente più numerose, più
fiorenti e più agguerrite che da noi. A dar vita a queste istituzioni, a
cui egli attribuiva un’altissima importanza, non solo spirituale ed
artistica, ma anche morale e sociale, l’Alaleona si dedicò con tutto
l’ardore del suo animo entusiastico. Fondò una scuola corale presso La
vita di questo insigne e sventurato musicista è stata troncata nel pieno
rigoglio delle sue facoltà intellettuali, quando, per lunga preparazione
teorica e pratica, si sarebbe trovato in grado di rendere all’arte altri
preziosi servigi, di dare al teatro e alla musica da camera altre e più
perfezionate opere. Ma, se non gli fu concesso di mostrare tutta la misura
del suo valore, a meritargli l’ammirazione e l’affettuosa riconoscenza
degl’Italiani (e dei Marchigiani, in particolare) bastano le sue grandi
benemerenze verso il progresso della moderna armonia, verso gli studi
folkloristici, verso la cultura musicale del nostro paese. L’Istituto
Marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti scrive a caratteri indelebili
nell’albo dei suoi soci più illustri il nome di Domenico Alaleona, per
altezza d’ingegno, instancabile operosità, tenacia e nobiltà di
propositi, integrità di vita, onore e vanto di questa nostra terra picena
e della gran patria italiana. * "Rassegna
Marchigiana per le Arti figurative, le bellezze naturali,
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