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ACCADEMIA MONTI AZZURRI

CENTRO STUDI ALALEONA

 

SCENA MARCHIGIANA

GIOVANNI PAGGI

EDIZIONI DISCOGRAFICHE

 

 

ALALEONA, "TALENTO AUSTERO"

Una memoria di Radiciotti del 1930 in ricordo del compositore*

 

Con la scomparsa di Domenico Alaleona l’Italia ha perduto uno dei più geniali e forti compositori di quella che fu chiamata “giovane scuola d’avanguardia”; perdita tanto più grave e dolorosa nell’attuale periodo di crisi che attraversa la nostra arte musicale, vale a dire in un momento in cui questa sente, più che mai, il bisogno di uomini operanti con salda fede in un’alta idealità e con tendenze ed aspirazioni prettamente italiane. L’ideale di Domenico Alaleona era il rinnovamento e la purificazione dell’arte nostra. Per lui la presente sua decadenza deriva dall’essersi troncati i legami fra la nostra anima musicale moderna e l’anima musicale italiana originaria, operante in una mirabile fioritura attraverso i secoli, e dall’essersi perduta quell’intima comunione fra l’anima musicale degli artisti e l’anima musicale del popolo, che è stata propria del secolo d’oro della nostra musica. “Credo fermamente -scriveva ad un altro insigne musicista italiano della ‘giovane scuola’, il M° Vittorio Gui- che la nostra musica non risorgerà se non quando ridiventerà italiana ed umana, tanto nel sentimento e nella visione (abbandonando i gretti individualismi) come nel linguaggio (facendola finita con la sterile e distruttrice ricerca di gerghi e cifrari personali). Questa è la mia fede”. Così egli ammoniva i giovani compositori italiani nel 1914, quando cioè molti di loro, in cerca del nuovo a qualunque costo ed infatuati di xenolatria, piuttosto che attenersi alle tradizioni dell’arte nazionale preferivano seguire le orme del Wagner, del Debussy, dello Strauss, di tutti insomma, fuorché dei nostri. E l’ammonimento, avvalorato dall’esempio dello stesso autore, fu salutare. Mente di alta cultura, ingegno dei più versatili, Domenico Alaleona esplicò la sua meravigliosa attività in più campi: come compositore, come direttore e concertatore, come storico e critico, come insegnante, come conferenziere propagandista dei suoi ideali d'arte; ed in ciascuno di questi campi si manifestò l’originalità e l’importanza dell’opera sua. Nacque l’Alaleona a Montegiorgio (provincia di Ascoli Piceno) il 16 novembre del 1881 da antica e nobile famiglia, in cui tradizionale è il culto dell’arte dei suoni. Ricevette i primi insegnamenti musicali da Antonio Bernabei e da altri oscuri maestri nel proprio paese nativo, dove, sin dall’età di circa dieci anni, si segnalava nel suono dell’organo e del clarinetto, e, poco appresso, anche nella direzione della banda locale. Recatosi a Roma, s’inscrisse alla facoltà di lettere in quella università e contemporaneamente compì i suoi studi musicali nel liceo di S. Cecilia, dov’ebbe a maestri di piano il Bustini e lo Sgambati, di organo il Renzi, di composizione il De Sanctis, e donde uscì diplomato nel 1906. L’anno seguente conseguì la laurea in lettere, presentando per tesi uno studio su L'Oratorio in Italia, poderoso lavoro (pubblicato poi dalla Casa Bocca), in cui la estesa erudizione si accoppia alla genialità delle vedute, all’acume della critica, alla elegante scioltezza dell’esposizione, e che procurò subito all’autore grande rinomanza in Italia e fuori. Uscito dal liceo di S. Cecilia, iniziò la sua carriera artistica come direttore d’orchestra e di masse corali, e come insegnante, prima (dal 1911 al 1917) di canto corale nella scuola diretta da Pietro Mascagni, poi di estetica e storia musicale nel liceo che l’aveva diplomato; posto che tenne sino alla sua morte. Contemporaneamente dava alla luce importantissimi ed originali studi di teoria musicale, preziosi contributi al progresso dell’armonia moderna. Le sue pubblicazioni su “I nuovi orizzonti della tecnica musicale” e su “L'armonia modernissima” attrassero l'attenzione dei competenti (più all'estero, secondo il solito, che in Italia) per la genialità e l’arditezza degl’intendimenti. L’Alaleona fu il primo tra noi ad intuire, parallelamente al Debussy e allo Schoenberg, certi aspetti della tecnica musicale. Senonché, appunto per questa arditezza, le sue composizioni (che non sono altro che dimostrazione pratica di quanto egli aveva scritto nei suoi studi teorici) non furono subito comprese dalla grande maggioranza del pubblico. L’intermezzo sinfonico della sua opera “Mirra”, eseguito per la prima volta nel marzo del 1912 all’Augusteo di Roma, sollevò vive discussioni nel pubblico e nella stampa, ma non provocò alcun incidente. Peggior sorte gli toccò a Milano, quando Vittorio Gui, antico compagno di studi dell’Alaleona e suo ammiratore, chiamato nella primavera dello stesso anno a dirigere alla Scala un concerto di musica tutta italiana, incluse nel programma l’Intermezzo del suo amico. “Il pezzo -mi scrive il Gui- che io ho poi parecchie volte eseguito nei concerti a Roma, a Firenze, a Venezia ecc., fu accolto con ostilità dal buon pubblico meneghino, rimasto ancora ai gusti di Ponchielli... Le interesserà sapere che tra gli uomini che si accorsero allora del valore di questa composizione vi erano Antonio Smareglia (già mio amico e anch’egli soggiaciuto a un destino terribile di vita) e Arrigo Boito, col quale facemmo la conoscenza, tanto io che l’Alaleona, proprio in quei giorni. Il Boito rimase in teatro sino all’ultimo (era stato uno dei primi ad entrare), e, dopo il pezzo di Alaleona, in mezzo alla gazzarra del pubblico protestante, applaudiva con esibizione coraggiosa! Il giorno dopo, la stampa quotidiana si divise in due campi; ma i giornali più letti, e quindi più importanti, caricarono d’insolenze, tanto l’autore, quanto il giovane direttore per la scelta del programma!... E il programma conteneva, oltre che la “Mirra”, brani di Giuseppe Martucci, di Sammartini, di Porpora, di Rossini e di Smareglia!!! Alaleona, che era molto sensibile alle critiche, ebbe un gran dispiacere; ma io ebbi la gioia di rivederlo, prima della sua morte due anni, all’Augusteo ricoperto di applausi affettuosi e caldissimi, proprio dopo l’esecuzione dello stesso Intermezzo sotto la mia direzione”. Neppure l’opera intera -già premiata nel concorso, indetto nel 1913 dal Comune di Roma- quando comparve per la prima volta il 31 marzo del 1920, ottenne un vero successo popolare (e così doveva essere, perché questa musica è troppo originale, troppo fine, troppo schiva dalla ricerca dell'effetto plateale e del facile applauso, per poter esser subito compresa e giustamente apprezzata dalla gran massa del pubblico), ma tutti gl’intenditori, tutti i veri competenti accolsero la “Mirra” con viva simpatia ed ammirazione. “Dall’insieme dell’opera -son parole di uno dei più autorevoli e competenti critici italiani, il M° Alberto Gasco- emerge una simpatica personalità di musicista. Nessuno potrebbe negare a Domenico Alaleona un talento austero di drammaturgo. I personaggi di Mirra parlano un linguaggio incisivo, hanno una particolare fierezza ed una tal quale violenza tragica. Il maestro non vuole adescare il pubblico con le moine, non tenta far commercio di futili melodie, non intende assumere il dominio policromo dell’istrione futurista. Egli scrive come il cuore gli detta”.           

Non meno austera, aristocratica, sprezzante del facile applauso del volgo è la sua musica da camera. Ricordo, fra la musica vocale, il ciclo delle “Melodie Pascoliane”, divise in vari gruppi. Molte le raccolte di melodie (“Albe”; “Canti di maggio”; “Canti italiani”; “Canti spirituali”) e molte le composizioni corali. Fra la musica strumentale sono in particolar modo notevoli le “Canzoni e Laudi spirituali italiane” per orchestra e la raccolta di "Impronte" per pianoforte, intitolata “Le città fiorite”. Nessuno più fedelmente di lui ha saputo tradurre in note ispirate la soave mestizia, la grazia pensosa, la delicatezza della poesia pascoliana, con la quale la musica lirica dell’Alaleona ha tanta affinità di carattere. Un altro dei suoi ideali più cari, ideale da lui vagheggiato per tutto il corso della sua vita, fu la formazione di società corali, coll’intento di far rivivere tra noi il culto della polifonia vocale e di ripresentare all’ammirazione degl’Italiani immemori i tesori della nostra musica sacra e madrigalesca del secolo XVI. “Tutto il nostro patrimonio musicale veramente aureo -giustamente osservava- quello cinquecentesco, di una rigogliosità e vivacità quale nessun altro periodo della nostra storia ha posseduto, il patrimonio dei concerti vocali, dei madrigali, delle villanelle e canzonette, della polifonia vocale religiosa, è morto, non perché fosse venuta meno la sua rigogliosissima vitalità, ma perché venne a mancare dei suoi propri, necessari mezzi di esecuzione. La musica muore, se non si eseguisce”. E lamentava che in Italia troppo si trascurasse la voce, questa materia prima di cui tanto abbondano le nostre contrade, mentre in Francia ed in Germania, dove questo “carbone bianco” (com’egli chiama la voce) è tanto inferiore, per quantità e qualità, le società corali sono infinitamente più numerose, più fiorenti e più agguerrite che da noi. A dar vita a queste istituzioni, a cui egli attribuiva un’altissima importanza, non solo spirituale ed artistica, ma anche morale e sociale, l’Alaleona si dedicò con tutto l’ardore del suo animo entusiastico. Fondò una scuola corale presso la Casa del soldato in Roma, tenne per molti anni la direzione della società corale “Guido Monaco” di Livorno, con la quale diede concerti applauditissimi in Italia e fuori, e finalmente, in questi ultimi anni, dopo aver superati molti e non lievi ostacoli e contrarietà, riuscì alla formazione di un piccolo ma valoroso coro, che prese il nome di “Coro dei madrigalisti romani”, il cui primo saggio fu dato nella sala Borromini il 12 maggio del 1927 con esito felicissimo. A questo primo saggio altri ne seguirono nel corso dello stesso anno e nei primi mesi del 1928. “Il successo maggiore -narra uno dei madrigalisti- toccò al concerto dato all’Augusteo, che diede al M° Alaleona, fondatore, concertatore e direttore, il più largo compenso di felicitazioni. Fu richiesto un gran numero di bis, e chi ricorda il Maestro in quella sera, lo vide tutto raggiante e felice. Il suo voto si era esaudito mercè la sua paziente tenacia, e poteva quindi dichiararsi pienamente soddisfatto. Il concerto dato l'11 aprile 1928 fu l’ultimo ch’egli diresse, poiché il male, che da parecchio tempo lo affliggeva, cominciava a farsi sentire più forte. Ricordo che, dopo il trattenimento, lo si vide più accasciato e stanco del solito; ed in verità confessava di non sentirsi troppo bene. Non lo vedemmo più fra noi. Il 26 aprile, per un concerto dei madrigalisti a Villa d’Este a Tivoli, designò il prof. Luigi Gentili, uno dei componenti il coro, perché lo sostituisse nella direzione. Da allora il suo fisico continuò a fiaccarsi sempre più. Nel settembre ebbe un miglioramento, che, purtroppo, doveva essere fittizio. In una delle sue ultime lettere scriveva al prof. Feriozzi (suo intimo amico): “Tu sai quanto mi stiano a cuore i madrigalisti. Salutameli affettuosamente tutti”. Vittima di un morbo implacabile, il Maestro, dopo una straziante agonia, spirava nelle prime ore del 29 dicembre 1928. Aveva 47 anni ed un mese!

La vita di questo insigne e sventurato musicista è stata troncata nel pieno rigoglio delle sue facoltà intellettuali, quando, per lunga preparazione teorica e pratica, si sarebbe trovato in grado di rendere all’arte altri preziosi servigi, di dare al teatro e alla musica da camera altre e più perfezionate opere. Ma, se non gli fu concesso di mostrare tutta la misura del suo valore, a meritargli l’ammirazione e l’affettuosa riconoscenza degl’Italiani (e dei Marchigiani, in particolare) bastano le sue grandi benemerenze verso il progresso della moderna armonia, verso gli studi folkloristici, verso la cultura musicale del nostro paese. L’Istituto Marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti scrive a caratteri indelebili nell’albo dei suoi soci più illustri il nome di Domenico Alaleona, per altezza d’ingegno, instancabile operosità, tenacia e nobiltà di propositi, integrità di vita, onore e vanto di questa nostra terra picena e della gran patria italiana.                                    Giuseppe Radiciotti

"Rassegna Marchigiana per le Arti figurative, le bellezze naturali, la Musica" ,  marzo 1930